Pandemia, mercato del lavoro e occupazione: i trend nel contesto biellese

di Franca Maino e Valeria De Tommaso

 

La pandemia da Covid-19, oltre all’emergenza sanitaria, ha determinato una grave crisi economica e del mercato del lavoro. L’emergenza ha messo a rischio diverse categorie di lavoratori, soprattutto quelli più fragili. Si tratta di chi ha contratti a tempo determinato – occupati, per la maggior parte, nel settore terziario – e forme occupazionali precarie. Il sostegno al reddito è risultato molto debole per alcune categorie interessate dal fermo dell’attività. Ad esempio, i lavoratori a termine non hanno potuto beneficiare delle misure straordine di sostegno al reddito varate per l’emergenza pandemica: si tratta, in particolare, di lavoratori e lavoratrici domestiche (colf e badanti), i tirocinanti e gli occupati in nero.

Unitamente ai trend relativi alla precarietà dei rapporti di lavoro, anche la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro è stata direttamente interessata dalle conseguenza della pandemia. Le donne sono state le più colpite dalla crisi occupazionale che ha interessato diversi settori ad alto tasso di femminilizzazione (ad esempio, quello dei servizi). Il contesto emergenziale – e l’espandersi del lavoro agile – hanno richiamato l’attenzione sul binomio vita-lavoro e sul peso del carico sulle madri, spingendo a riflettere sui congedi parentali e su soluzioni di formazione legate al concetto di care living.

Partendo da alcuni dei dati più significativi riportati nel I Rapporto OsservaBiella del 2021 ricostruiamo i trend principali che hanno caratterizzato il mercato del lavoro, l’occupazione femminile e la conciliazione vita-lavoro nel biellese.

 

Mercato del lavoro e pandemia

Nel quarto trimestre del 2021, l’input di lavoro – misurato dalle ore lavorate – è aumentato dello 0,2% rispetto al trimestre precedente e del 6,2% rispetto al quarto trimestre 2020. Lo stesso può dirsi dal lato dell’offerta, in cui nel quarto trimestre 2021 si registrano 80 mila occupati in più (0,4%) rispetto al trimestre precedente. Crescono, secondo i dati Istat, i dipendenti a termine (+2,7%) e, meno intensamente, gli indipendenti (+0,2%). Sono invece in calo quelli a tempo indeterminato (-0,1%).

Già prima della pandemia, tra il 2009 e il 2019, l’Italia aveva attraversato fasi di crisi economica molto significative seguite da una ripresa considerata “employment-intensive”. Nel periodo post-recessione, la tipologia occupazione che si è andata affermando è quella con periodi di occupazione più delle volte inferiori ad un anno, alternati a periodi di inattività, sotto-occupazione e disoccupazione. Dalla Riforma Fornero, al Jobs Act e dal Decreto Poletti sino al Decreto Dignità, l’impatto delle riforme del lavoro sul sistema di occupazione sembra aver provocato un aumento sistematico del ricorso al lavoro di breve durata. In sostanza, la variazione della domanda di lavoro discontinuo potrebbe essere attribuita alle riforme recenti e a modifiche strutturali del mercato del lavoro, precedenti dunque alla pandemia. Per tali ragioni, anche a seguito della fine della crisi economica e l’affermazione di una fase espansiva dell’economia, perdura una marcata tendenza alla flessibilizzazione dei contratti, che riguarda anche il mercato del lavoro biellese.

Unitamente alla questione richiamata, l’epidemia ha posto in evidenza altri due elementi di rilievo nel mercato del lavoro italiano: l’occupazione dei laureati e quella femminile. In primo luogo, possedere un titolo di studio assicura una maggiore e continuativa presenza nel mercato del lavoro. Tuttavia, non sempre garantisce un’adeguata qualità dell’occupazione. Il Rapporto Bes dell’Istat del 2021 evidenziava come circa un terzo degli occupati laureati svolgesse un’occupazione per la quale sarebbe stato sufficiente un titolo di studio inferiore (e, per questo, richiamava il fenomeno dello skill mismatch, particolarmente accentuato tra i giovani nel Bielleese).

In secondo luogo, se l’emergenza ha contribuito a smussare alcune rigidità presenti nell’organizzazione del lavoro, permettendo nel 2021 e 2022 di lavorare da casa a una quota di occupati crescente, allo stesso tempo ha modificato gli equilibri di conciliazione tra vita privata e vita professionale, rendendo difficoltosa – per alcuni – la gestione della quotidianità. Secondo il Rapporto Bes dell’Istat, nel 2021 in Italia l’indicatore di asimmetria del lavoro familiare ha subito un rallentamento del progressivo miglioramento che stava registrando negli ultimi anni: i lavori domestici continuano dunque ad essere sbilanciati per la componente femminile. Le restrizioni per arginare l’emergenza pandemica hanno posto notevoli sfide alla gestione dei carichi di cura e di lavoro. I lavoratori e le lavoratrici hanno dovuto fare i conti con la chiusura dei presidi educativi e formativi, la Didattica a Distanza e, per alcuni, l’introduzione del lavoro agile (o smart working). Lo smart working si propone come lo strumento per garantire l’equilibrio tra lavoro e vita privata e migliorare – grazie al ricorso alla digitalizzazione – l’erogazione dei servizi. Tuttavia, l’utilizzo di questa misura implica non poche preoccupazioni se svolto prevalentemente in un contesto domestico o se riguarda categorie di lavoratori più a rischio di esclusione sociale e digital divide, come gli over 50.

 

Il contesto occupazionale nel Biellese

In Provincia di Biella, nel 2021, il tasso di disoccupazione è tornato a valori normali (6,2%, il 7,5% in Piemonte), persino inferiori rispetto a quelli registrati nel 2018 (6,7%, l’8,4% in Piemonte). Nell’anno della pandemia, il 2020, il tasso di disoccupazione era salito al 6,7% (il 7,8% in Piemonte) dopo una breve ripresa nel 2019, anno in cui era pari al 6,4% (a fronte del dato regionale rimasto invariato).

Pur essendo il tasso di disoccupazione nel Biellese il più basso tra le province piemontesi, dopo la Provincia del Verbano-Cusio-Ossola in cui tale valore è pari al 5,9%, va notato che il suo incremento ha interessato maggiormente le donne. Dal 2018 al 2021, la percentuale di donne disoccupate è aumentata di quasi 1 punto percentuale (0,5 in Piemonte). Al contrario, lo stesso tasso ha subito un calo di 1,7 punti percentuali per gli uomini (1,5 in Piemonte). Il tasso di disoccupazione femminile, nel quadriennio considerato, ha raggiunto il picco nel 2019 quando il valore si attestava al 9,1% (9,3% in Piemonte).

Quanto al tasso di inattività, rispetto al 2018, esso ha subito un incremento di circa 4 punti percentuali, passando dal 26,7% nel 2018 al 30,5% nel 2021 (in Piemonte, dal 28,1% al 29,8%). Nel caso degli inattivi, al contrario dei tassi di disoccupazione, l’aumento dei valori ha interessato analogamente sia gli uomini sia le donne. È opportuno infatti sottolineare che il Biellese, nel 2021, vanta un tasso di occupazione femminile maggiore rispetto al valore regionale (60,5%) e dell’Italia (49,4%). E lo stesso può dirsi per il tasso di inattività (pari al 35,1%, contro il 36,1% in Piemonte e il 44,6% in Italia). Più nel dettaglio, si presentano di seguito i dati relativi alle assunzioni per tipologia contrattuale e qualifica su scala provinciale e le relative caratteristiche dei lavoratori e delle lavoratrici biellesi reclutati nel 2020.

In Provincia di Biella, inoltre, si osserva una percentuale di occupati con contratto a termine (in riferimento, dunque, ai dipendenti che hanno un contratto a tempo determinato) pari al 12,9%, un valore nettamente inferiore alla media italiana (15,1%). Questo è particolarmente vero per il genere femminile la cui percentuale, nel 2020, si attestava al 12,3% in Provincia di Biella e il 15,3% in Italia (Figura 1).

Secondo i dati dell’Agenzia Piemonte Lavoro, la maggior quota (14,8%) di contratti a tempo indeterminato riguardano i lavoratori con una qualifica alta (diploma extra-universitario, diploma universitario, laurea di primo o secondo livello). A seguire, il 13,9% riguarda coloro con una qualifica media (diploma e istruzione professionale) e il 7,4% hanno una qualifica bassa (licenza elementare, licenza media oppure scuola dell’obbligo, nessun titolo). Aver conseguito un titolo di studi terziario non è sinonimo di “stabilità” contrattuale: circa il 70,8% è stato assunto con un contratto a tempo determinato. Tuttavia, al contrario degli altri livelli di qualifica (medio e basso), la categoria della qualifica alta vanta una quota decisamente più bassa di lavoratori somministrati (5,4% vs il 18,10% dei mediamente qualificati e il 23% di coloro con una bassa qualifica) (Figura 2).

Quanto al settore economico, il 96% dei contratti a tempo determinato si concentrano nel settore dell’agricoltura, il 47% nel commercio e il 45,7% nell’edilizia. La maggior quota di contratti a tempo indeterminato – il 19% (la percentuale più alta) – è nel settore dell’industria. A seguire, il 18,8% sono in edilizia e il 14,6% nel commercio. Allo stesso modo, la quota più alta di contratti somministrati è quella nell’industria (39,2%) affiancata dal 29,4% nel settore dell’edilizia e il 19,7% del commercio.

Si nota tuttavia che, in relazione alle assunzioni part-time o full-time, la maggior quota di lavoratori e lavoratrici biellesi con contratti a tempo pieno presentano una qualifica alta, pari al 77,4% vs il 58,4% di coloro con una qualifica media e il 67% con quella bassa (Figura 3). L’83,5% degli assunti nel settore industriale vantano contratti part-time e lo stesso può dirsi per l’industria (82,6%) e, a maggiore distanza, gli alberghi e la ristorazione (54,4%), il commercio (51,1%) e l’agricoltura (41,6%) (Figura 3).

Si presentano di seguito alcuni dati relativi all’occupazione femminile del Biellese, ad integrare quanto precedentemente detto, con l’obiettivo di inquadrare il contesto dei servizi educativi e di conciliazione in Provincia.

 

L’occupazione femminile e la conciliazione vita-lavoro

Come detto, la pandemia ha segnato una riduzione quantitativa del flusso di assunzioni nel 2020 e, ai cambiamenti quantitativi, si sono accompagnati anche mutamenti qualitativi del lavoro, anch’essi con luci e ombre. Uno dei fenomeni che hanno conosciuto un’accelerazione è stato lo sviluppo dello smart working. Questo strumento avrebbe consentito maggiore “flessibilità” e, dunque, quella conciliazione tra i tempi di vita e di lavoro così complicata nel nostro Paese. Lo smart working, sempre più apprezzato dai lavoratori e dalle lavoratrici italiane, sembra rappresentare un’occasione per gestire in maniera autonoma il proprio tempo e, di conseguenza, assicurarsi più spazio per la gestione degli impegni personali e familiari. Tuttavia non è stato esente da critiche e ha in molti casi accresciuto – invece che ridurlo – il divario di genere. Rispetto a queste trasformazioni, cosa è successo nella provincia di Biella? Si presentano di seguito alcuni dei dati relativi all’occupazione femminile nel Biellese e ai servizi territoriale che puntano a migliorare le opportunità di conciliazione tra tempi di vita e di lavoro.

Sebbene le donne siano mediamente più istruite degli uomini, perdura un ampio gap occupazionale tra uomini e donne. Tale gap di genere, come si evince dalla Figura 4, è mediamente più basso nella Provincia di Biella (-7,8% contro il -13,6% in Piemonte e il 18,2% in Italia) (Figura 4).

 

Tale divario permane anche nelle retribuzioni lorde orarie delle posizioni lavorative dipendenti, i cui valori sono inferiori di circa 1 euro (all’ora) per le donne (11,93 per gli uomini e 10,93 per le donne). La tendenza osservata a livello provinciale, in riferimento alle retribuzioni più basse delle lavoratrici, è la stessa sia in Piemonte che in Italia (Figura 5).

È utile evidenziare che l’ampia partecipazione del parterre femminile al mercato del lavoro biellese può essere dovuta all’investimento del territorio nei servizi educativi e di conciliazione vita-lavoro. Nella provincia di Biella, come analizzato nell’Approfondimento Annuale di Osservabiella del 2021, la conciliazione è un’area di policy su cui già molti attori e molti progetti sono attivi localmente e questo rappresenta un fattore su cui fare ulteriore leva. I dati dell’Osservatorio sul Sistema Formativo Piemontese (il Sisform) sottolineano come il Piemonte, complessivamente, non raggiunga l’obiettivo stabilito dall’Unione Europea della copertura del 33% dei servizi di asili nido. E, tuttavia, non si tratta di un unicum nello scenario italiano. Nel caso di Biella, invece, tale copertura arriva al 41%, il dato più alto registrato su base provinciale e in tutto il Piemonte.  Questo dato, molto positivo, non è però indicativo del loro effettivo utilizzo da parte della popolazione. Sotto questo profilo ci viene in aiuto il dato riguardante il tasso di scolarizzazione dei bambini di 4 anni che, questa volta in linea con i dati piemontesi, supera il 95% (obiettivo definito dall’UE). Biella quindi si distingue per – rispettivamente superare e raggiungere gli obiettivi fissati dall’Unione Europea.

Alla luce dei dati presentati sopra, si invita a considerare un ulteriore aspetto di riflessione circa il divario occupazionale e le opportunità di conciliazione tra vita privata e lavorativa. La lettura della disparità fra uomini e donne in termini di opportunità di partecipazione al mercato del lavoro e di carichi domestici e di cura nella sfera familiare è stata spesso interpretata in modo parziale: solo dal lato della discriminazione femminile. In altre parole, sulle donne spesso gravano le responsabilità di cura della famiglia a discapito dell’accesso alle opportunità di carriera e di salario. Tale disparità, come mostrato negli ultimi anni, può generare svantaggi anche per il padri (a superamento dell’idea dell’uomo-lavoratore, come unico responsabile del benessere economico della famiglia, il cosiddetto male-breadwinner model), in riferimento al tempo che quest’ultimi riescono a dedicare alla famiglia e alla cura dei figli. Il modello “dual-earner” – ormai diffuso nella maggior parte dei Paesi europei – va nella direzione di favorire congedi di paternità remunerati, contratti part-time e adeguati servizi per l’infanzia (come, ad esempio, in Francia e Germania) senza tuttavia sottendere un attivo coinvolgimento dei padri nell’attività familiare, rischiando che le madri possano trovarsi un doppio carico di responsabilità (quello di cura e quello remunerato). Per tali ragioni, negli ultimi anni l’Unione Europea sta promuovendo l’adozione di politiche orientate verso un sistema più “egualitario”, Dual Carer, in cui entrambi i partner sono coinvolti nel lavoro di cura familiare (in riferimento sia ai bambini sia ai familiari non autosufficienti). Il sistema Dual Carer, diffuso in Nord Europa, incentra le politiche su tre pilastri fondamentali, che coinvolgono entrambi i genitori ambendo ad azzerare le differenze di genere: congedi esclusivi, servizi pubblici, capillari e universali per l’infanzia, disponibilità di contratti part-time e modalità di lavoro flessibile (ad esempio, lo smartworking).

 

Il mercato del lavoro tra nuove tendenze e possibili scenari

L’emergenza sanitaria da Covid-19 ha indotto notevoli cambiamenti nel mercato del lavoro: le misure di contenimento, l’incertezza legata alle varianti e alla ripresa dei contagi e le difficoltà nei trasporti hanno modificato profondamente i modelli organizzativi delle aziende e i bisogni di lavoratori e lavoratrici. Come ricordato sopra, i più colpiti dalla pandemia sono state le donne e i giovani: chi, già prima dell’emergenza, era più colpito dal divario di genere e generazionale.

Inoltre, sebbene la pandemia abbia innescato una rivoluzione nel mercato del lavoro – persino accelerando i trend precedenti (ad esempio, quelli scaturiti dalla globalizzazione e dall’Industria 4.0) – perdurano tuttavia alcune criticità a cui prestare particolare attenzione, tenendo inoltre conto delle risorse che stanno arrivando grazie al PNRR.

In primo luogo, la ripresa del mercato del lavoro italiano nel 2021 e nel 2022 è ancora connotato da un forte problema di skill mismatch, il disallineamento tra le competenze acquisite a scuola dai ragazzi e quelle richieste delle aziende nel mercato del lavoro. Questo è un problema che, a livello locale, il GOL (Garanzia di Occupabilità dei Lavoratori, il programma specifico all’interno del PNRR) dovrà affrontare. Ci sarà bisogno (al netto di un inevitabile e conclamato intervento sul sistema di educazione-formazione, che comunque non potrà dare risultati prima di qualche anno) di un forte intervento per adeguare le competenze anche al di fuori di un percorso formativo pluriennale. Le politiche attive dovranno dunque orientarsi, da un lato, verso tipologie di formazione-riqualificazione a breve termine e finalizzate alla rioccupazione e, dall’altro, verso un sistema di informazione di vasta accessibilità per mettere in contatto domanda e offerta.

Inoltre, tra gli interventi che il Governo ha promosso attraverso il PNRR vi è la ridefinizione degli aiuti alle famiglie, attraverso il Family Act. Il provvedimento, all’interno del quale rientra anche il cosiddetto Assegno Unico Universale, prevede di: riformare i congedi parentali, con l’estensione a tutte le categorie professionali, e di introdurre congedi di paternità obbligatori e strutturali; introdurre incentivi al lavoro femminile, a partire dalle detrazioni per i servizi di cura fino alla promozione del lavoro flessibile; rafforzare le politiche di sostegno alle famiglie per le spese educative e scolastiche e per le attività sportive e culturali; assicurare il protagonismo dei giovani under 35, promuovendo la loro autonomia finanziaria con un sostegno per le spese universitarie e per l’affitto della prima casa. Secondo tale prospettiva, l’auspicio è che il modello Family Act punti a realizzare quanto descritto prima in riferimento al modello Dual Carer (e non, appunto, Dual Earner).

Rispetto a queste sfide che hanno profondamente impattato sulla vita delle persone è interessante chiedersi quale sia il ruolo del livello locale. Nel mercato del lavoro, i Comuni possono agire in maniera trasversale e “indiretta” nel contrasto alle vulnerabilità lavorative e, in generale, nel favorire l’incontro tra domanda e offerta lavorativa. Infatti, com’è noto, il mercato del lavoro è di competenza dello Stato e delle Regioni. A quest’ultime, le Regioni, si attribuiscono competenze residuali, relative a funzioni riguardanti tutte le forme di collocamento e l’adozione di iniziative volte ad incrementare l’occupazione e ad incentivare l’incontro tra domanda e offerta di lavoro anche con riferimento all’occupazione femminile. I Comuni e gli enti locali esercitano tuttavia un’importante attività di erogazione, implementazione e intermediazione di servizi a supporto di quelli lavorativi (come nel caso dei servizi alla prima infanzia, di conciliazione vita-lavoro, e di sostegno al reddito e all’occupazione). In questo contesto, anche per il territorio biellese la vera sfida riguarda la messa a terra dei progetti promossi dal PNRR. Nell’attuazione delle politiche del lavoro e di conciliazione diventa centrale la collaborazione delle parti sociali, delle associazioni datoriali, degli enti territoriali e del terzo settore. Gli enti locali ricoprono una funzione-chiave, poiché detentori di competenze su moltissimi fronti prima richiamati: servizi ai cittadini (di back office e front office e, dunque, di carattere conoscitivo, orientativo e di presa in carico), di politiche attive del lavoro (formazione e riqualificazione delle competenze), inserimento e reinserimento lavorativo, conciliazione ed educazione.