Transizione ecologica e tutela dell’ambiente. Il territorio biellese di fronte alla “green challenge”

di Franca Maino e Valeria De Tommaso

La transizione ecologica rappresenta una priorità per l’agenda di policy globale. Siamo ad un punto di non ritorno: il cambiamento climatico ha un impatto tangibile su numerose sfere della vita quotidiana, dall’alimentazione alla salute fisica e psico-fisica, dal lavoro alla mobilità.

Per cambiamento climatico si intende l’evoluzione sul lungo periodo delle temperature e dei modelli meteorologici. La transizione ecologica rappresenta l’insieme delle azioni rivolte alla sostenibilità dell’economia, per favorire il passaggio da un sistema basato sulle fonti energetiche inquinanti a un modello virtuoso incentrato sulle fonti verdi. La c.d. “rivoluzione ambientale” punta a favorire – a pieno regime – i modelli di economia circolare, nel pieno rispetto dell’ambiente e della natura, minimizzando le percentuali di agenti inquinanti nel territorio. Si tratta, in questo senso, di una rivoluzione culturale, dei processi e della produzione attualmente in vigore nei paesi industrializzati.

L’obiettivo dell’articolo è illustrare le sfide che la transizione ecologica pone alle società contemporanee. La prima parte ripercorre il ruolo dell’Agenda 2030 nella lotta al cambiamento climatico. La seconda parte pone enfasi sulla relazione tra cambiamento climatico e diseguaglianze. La terza parte presenta i dati riferiti alla provincia di Biella, partendo da quelli riportati nel I Rapporto di OsservaBiella e proponendo una comparazione con quelli sul piano nazionale e regionale.

 

L’Agenda 2030 e la lotta al cambiamento climatico

L’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile è il programma d’azione che mette al centro persone, pianeta e prosperità. La sua sottoscrizione – nel settembre 2015 – ha coinvolto 193 Paesi membri delle Nazioni Unite, con l’approvazione dell’Assemblea Generale dell’ONU. I 17 Obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile – SDGs – sono inquadrati all’interno di un programma più vasto, costituto da 169 target da raggiungere in ambito ambientale, economico, sociale e istituzionale entro il 2030.

Gli SDGs che, nello specifico, si occupano di ambiente sono il Goal 6 (Acqua pulita e servizi igienico-sanitari), 7 (Energia pulita e accessibile), 12 (Consumo e produzione responsabili), 13 (Lotta contro il cambiamento climatico), 14 (Vita sott’acqua) e 15 (Vita sulla terra).  I Goal, dunque, oscillano dal garantire a tutti la disponiblità e la gestione sostenibile dell’acqua e delle strutture igienico-sanitarie (Goal 6) al proteggere, ripristinare e favorire un uso sostenibile dell’ecosistema terrestre, contrastare la desertificazione, arrestare il degrado del terreno, fermare la perdita della diversità biologica (Goal 15). La lotta al cambiamento climatico è contemplata dal Goal 13, con l’obiettivo di rafforzare la resilienza e la capacità di adattamento ai rischi legati al clima e ai disastri naturali in tutti i paesi; integrare nelle politiche, nelle strategie e nei piani nazionali le misure di contrasto ai cambiamenti climatici e migliorare la capacità umana e istituzionale per rispondervi efficacemente e preventivamente. Uno dei target del Goal 13 mira a promuovere meccanismi per aumentare la capacità di una efficace pianificazione e gestione connesse al cambiamento climatico nei paesi meno sviluppati e nei piccoli Stati insulari in via di sviluppo concentrandosi su donne, i giovani e le comunità locali ed emarginate.

 

Cambiamento climatico e diseguaglianze: quale nesso?

Il legame tra cambiamento climatico e povertà è ormai consolidato. Sono numerosi gli studi scientifici che dimostrano una correlazione diretta tra l’aumento della temperatura e la riduzione delle risorse disponibili, con conseguente decremento dell’accesso alle risorse (in termini qualitativi e quantitativi) per una fetta consistente della popolazione. A fine luglio 2020, un articolo del New York Times (dal titolo “The Great Climate Migration”) sottolineava come entro il 2070 la percentuale di superficie non abitabile sulla Terra potrebbe spingersi sino al 19% (oggi è l’1%). Gli abitanti di questi luoghi dovranno dunque migrare verso nuovi territori, innescando un’era di migrazioni climatiche – già in atto nel decennio corrente – che contribuirà a rivoluzionare gli assetti geopolitici mondiali. Tali effetti potrebbero impattare più significativamente sui paesi in via di sviluppo, in cui la popolazione vive già in aree ecologicamente fragili.

Tuttavia, non bisogna pensare al cambiamento climatico come ad un fenomeno circoscritto ai soli paesi in via di sviluppo. Gli effetti di questo fenomeno sono tangibili in tutte le economie mondiali, anche le più sviluppate, in virtù delle sue ripercussioni dirette e indirette sulle vite di tutti gli abitanti della terra: in relazione, ad esempio, alla povertà energetica (fenomeno, tra l’altro, di crescente importanza in connessione con il conflitto russo-ucraino), alimentare o alle diseguaglianze che – indirettamente – derivano dall’aumento delle temperature. Proprio in riferimento a quest’ultimo punto, il sociologo Mauss ha dichiarato che le ondate di caldo sono un vero e proprio evento sociale. Cioè, un evento che mette a nudo una parte della realtà che solitamente è difficile da percepire e chiama in causa le istituzioni sociali, come il welfare, e i decisori pubblici ai diversi livelli di governo.

Il sociologo Mauss mette in relazione l’attuale cambiamento climatico con un tragico evento avvenuto a Chicago nel luglio del 1995. L’aumento delle temperature – fino a 41 gradi durante il giorno – aveva ucciso più di 700 persone in una settimana. Quell’ondata di caldo è stata una delle più mortali nella storia degli Stati Uniti ed è stata dimostrata la correlazione tra il numero di morti e il tasso di segregazione e diseguaglianze di alcune aree della città di Chicago. Otto dei dieci quartieri con il più alto tasso di mortalità erano popolati quasi esclusivamente da afroamericani. Queste aree erano anche caratterizzate da una grave povertà e da un’alta concentrazione di criminalità. In quei quartieri vivevano molte persone che erano completamente isolate. Per questo le ondate di caldo sono un evento “totalmente sociale” che richiede interventi non solo di tipo ambientale. La risposta della città di Chicago di ripensare e rafforzare l’infrastrutturazione sociale di quei quartieri, fornendo maggiori servizi e supporto ai cittadini, ridusse rapidamente il rischio di morte. La settimana successiva i morti furono solo due.

Gli effetti dei cambiamenti climatici sono dunque meno visibili di quanto ci si aspetta. L’irruenza di alcuni fenomeni – di carattere esogeno – si propaga, senza precedenti, sui diversi strati della società. A fenomeni globali, tuttavia, è sempre possibile rispondere con interventi di natura territoriale. Qui, ad esempio, si colloca il caso di Chicago e l’impegno dell’amministrazione ad intervenire affinchè i gap sociali possano trasformarsi in spazi di opportunità: ad esempio, maggiore/migliore mobilità e un più equo accesso al paniere di beni e servizi energetici (possibilmente, sostenibili). Ne deriva che il sistema di welfare – nel suo complesso – è pienamente coinvolto nella lotta al cambiamento climatico. E possiamo dunque affermare che si tratta di “nuovi rischi sociali”, all’origine di nuove e più ampie disuguaglianze nella nostra società.

 

La Provincia di Biella di fronte alla sfida ecologica: i dati dal Rapporto di OsservaBiella

Si illustrano di seguito alcuni dati significativi nel campo della transizione ecologica in Provincia di Biella. I dati sono ripresi dai Goal 6, 7, 12, 13, 14 e 15 del Rapporto di OsservaBiella e si riferiscono agli SDGs che – direttamente e indirettamente – considerano la questione del cambiamento climatico. Al momento, non si dispone di un indice sintetico che dia conto dello stato di avanzamento della transizione ecologica in Provincia. Pertanto, si presentano di seguito dei dati “proxy”, utili all’interpretazione di alcune dinamiche – consolidate o in atto – nel territorio.

Il settore energetico è interessato da una costante e profonda trasformazione che ne sta modificando il tradizionale funzionamento. Gli obiettivi di decarbonizzazione impongono l’utilizzo di una serie di strumenti e azioni innovative per ridurre le emissioni a impatto ambientale, sociale ed economico. Gli impianti fotovoltaici sono considerati strumenti utili per rafforzare l’industria 4.0 e il green, tra gli investimenti che hanno stretta relazione con la transizione tecnologica e la sostenibilità ambientale. In Provincia di Biella il numero di impianti fotovoltaici è aumentato del 5,52% (da 3.023 a 3.190). Lo stesso può dirsi per la potenza (in MW) degli impianti, il cui valore è passato da 92 a 95 con un incremento del 3,15%. Le variazioni percentuali del Biellese sono in linea con i dati italiani e regionali, mostrando dunque la capacità di stare al passo con le trasformazioni nel campo (Figura 1).

 

Secondo i dati di Sisreg Piemonte, l’estensione pro-capite di verde urbano che nel 2018 era fruibile in Provincia di Biella è di 19,72 m2 per abitante. Sebbene si tratti di un dato in crescita rispetto al 2017 (quando si attestava al 19,4%), è il secondo più basso tra le province piemontesi. Con riferimento al Comune di Biella, l’estensione della superficie stradale pedonalizzata è di 0,59 (m2/abitante) contro il 0,50 in Piemonte. Le piste ciclabili si estendono per 9,2 km (in media, 42,45 km in Piemonte) (Figura 2). Ogni abitante residente nel Comune di Biella compie, mediamente, 32 viaggi sul trasporto pubblico locale. Questo valore è nettamente più basso rispetto a quello registrato nelle province piemontesi. Qui il numero medio di viaggi per abitante e per anno sul trasporto pubblico locale è pari a 60. E’ tuttavia opportuno sottolineare che la media piemontese risente dell’influenza del dato delle grandi città, come Cuneo, o dell’area metropolitana di Torino.

 

Il nesso tra spazio verde urbano, ciclovie e auto non è casuale. E’ ormai consolidato il tema secondo cui le città devono essere costruite per favorire il più possibile il movimento, il benessere e la comodità delle persone e non delle auto. La progettazione delle città deve tenere conto prioritariamente delle categorie più vulnerabili (persone con disabilità motoria, anziani, genitori con passeggini, ecc.) per costruire un ambiente urbano inclusivo e realmente accessibile a tutti. L’utilizzo prioritario dell’auto e la progettazione delle strade che favoriscano tale mobilità rappresenta un fattore di disuguaglianza per una fetta della popolazione. Ad esempio, la mobilità femminile. In un libro del 2020 della scrittrice Criado Perez, si sottolinea come i percorsi delle donne siano spesso caratterizzati dal cosiddetto trip-chaining (più tappe concatenate, magari di diversa natura, in vari punti della periferia e del centro cittadino). Al contrario, le strade sono tendenzialmente progettate per privilegiare le esigenze lavorative, sia dal punto di vista degli orari che da quello dei percorsi (che, molto spesso, hanno un disegno a raggiera che converge verso il centro cittadino), a discapito dunque degli spostamenti giustificati dal lavoro di cura (affidato tipicamente alle donne, appunto). E’ un esempio di come la sola progettazione delle strade non tenga conto delle reali necessità della popolazione, ma – quasi unilateralmente – consideri solo quelle relative alla popolazione occupata (a discapito, appunto, delle esigenze di conciliazione vita-lavoro nell’orario extra lavorativo, del lavoro di cura o delle famiglie meno abbienti). Quanto alla circolazione delle autovetture in Provincia, più della metà sono alimentate a benzina (53,53%). Un dato in linea con la media piemontese (48,61%) e italiana (45,50%). A seguire, il 38,25% delle auto sono a gasolio (il 39,12% in Piemonte e il 43,77% in Italia). Un dato incoraggiante – ma che va analizzato sul lungo periodo – riguarda le autovetture elettriche, ibride-benzina e ibride-gasolio. La percentuale di auto in queste categorie è in crescita, sia in Provincia di Biella che in Piemonte e in Italia (Figura 3).

 

 

Infine, in riferimento agli sprechi, dal 2018 al 2019, il consumo di acqua è diminuito mediamente di 8 litri (da 139,9 a 131) (Figura 4). Tale riduzione è stata pari solo ad 1 litro per i capoluoghi di provincia piemontesi. Al contempo, la differenza percentuale tra acqua immessa e consumata per usi civili, industriali e agricoli è aumentata del 25% – registrando dunque un valore positivo – rispetto al 19,5% dell’anno precedente. Anche in quest’ultimo caso, le province piemontesi registrano una variazione (in punti percentuali) inferiore a quella del Biellese. Il dibattito sul consumo d’acqua e la dispersione idrica sono stati centrali durante il periodo estivo. A causa della scarsità delle precipitazioni e delle alte temperature che hanno interessato il territorio nazionale, il rischio siccità ha colpito la zona del Biellese – e dell’intero Piemonte – portando 9 Comuni tra Biella e Vercelli ad emanare un’ordinanza sull’uso consapevole dell’acqua potabile e di limitazione o divieto di usi impropri e 12 interventi con autobotte, per sopperire alla carenza di acqua per l’irrigazione dei campi. Con l’accoglimento della richiesta dello stato di emergenza da parte del Consiglio dei ministri, il Piemonte ha potuto beneficiare di 7,6 milioni di euro per mettere in campo azioni di somma urgenza e interventi di trasporto dell’acqua con le autobotti. Alla Provincia di Biella sono stati destinati 111 mila euro.

Infine, quanto invece alla produzione e la raccolta di rifiuti urbani, nel 2019 il 68,6% dei rifiuti urbani prodotti sono confluiti nella raccolta differenziata. Si tratta di un dato che supera la media piemontese (63,2%) e che posiziona Biella tra le prime cinque città capoluogo in Piemonte (Figura 5).

 

Conclusioni

La sfida ecologica si traduce nell’inversione del rapporto tra esseri umani e natura che, storicamente, ha vissuto innumerevoli mutamenti: un oscillare – continuo – tra conflitto e armonia. Il cambiamento climatico ci spinge dunque a ripensare ai modelli di consumo e quelli di produzione in modo che siano (sempre più) orientati alla sostenibilità e alla tutela dell’ambiente. I primi riguardano soprattutto le persone e le loro abitudini di spesa e di consumo. Quelli di produzione si riferiscono al mondo industriale, chiamato a privilegiare la crescita e il profitto con la salvaguardia dell’ambiente, investendo nei modelli di economia circolare e dell’uso ponderato delle risorse energetiche. In questo senso, proprio i rifiuti – e la loro gestione – stanno diventando il risultato più tangibile dei nostri modelli di consumo e produzione.

Si tratta di un circolo vizioso in cui l’aumento della produzione e del consumo – che coinvolgono, appunto, mondo industriale e cittadini – causano al contempo soddisfazione (individuale) e malessere (dal punto di vista ambientale) collettivo. Si tratta allora di ridurre le distanze tra la percezione del benessere personale e quella dell’utilità collettiva, lavorando – culturalmente – sul valore del bene pubblico. Il cambiamento climatico accresce le disuguaglianze e colpisce in modo più grave le fasce più vulnerabili della società. La transizione ecologica, dunque, deve riguardare anche la costruzione di infrastrutture sociali solide capaci di prendere in carico questo (nuovo) rischio sociale, i cui effetti sono via via più tangibili.

Quanto al rapporto tra ambiente e sociale, oltre all’introduzione di buone pratiche e alla realizzazione di interventi strutturali per favorire la transizione ecologica verso modelli produttivi ed energetici sostenibili, la comunità locale dovrà ripensare all’infrastrutturazione dei servizi territoriali e alla territorializzazione del welfare locale sulla base delle sfide poste dall’evoluzione climatica sul benessere collettivo. Il tema diventa dunque cruciale anche nei rapporti tra pubblico-privato e un pilastro ineludibile degli indicatori da inserire in bandi di co-progettazione e co-programmazione per l’assegnazione degli appalti pubblici. L’orientamento verso logiche di analisi dell’impatto che siano misurabili – che abbiano, quindi, tra gli indicatori quello della transizione verde – dovrà combinarsi ad una progressiva ricostruzione del tessuto sociale e comunitario. Quest’ultimo punto richiama le logiche e i processi di community building (letteralmente, la “costruzione di comunità”), utili a riportare al centro il valore collettivo e condiviso dei beni comuni (tra cui tanto l’ambiente e le sue componenti quando la società e le sue istituzioni), ripensando così alle logiche di protezione sociale e al welfare locale. L’obiettivo, rispetto a quest’ultimo punto, è lavorare – al contempo – sulla consapevolezza individuale e quella di gruppo, evitando situazioni di free-riding (il termine si riferisce alla situazione in cui un individuo beneficia di risorse, beni, servizi, informazioni senza contribuire al pagamento degli stessi, di cui si fa carico il resto della collettività).

Infine, con riferimento al rapporto tra ambiente e sistema-economico produttivo, un tema oggi al centro del dibattito ma anche dell’attenzione dei decisori è quello della crisi energetica. Quella energetica è una crisi europea, con drastiche conseguenze per i territori nazionali di tutta Europa, e che con ogni probabilità durerà a lungo. Il rischio – secondo le analisi – è che l’Europa rischia di entrare, o forse è già entrata, in una grave stagflazione (gli alti prezzi dell’energia continuano a tenere alta l’inflazione). Questa tematica ha infatti numerose implicazioni, sia per le imprese che per l’economia tout court. Sul lato imprese, ad esempio, ci sono settori – come quello tessile – che hanno comparti “energivori” e che potranno faticare a far fronte ai costi in aumento dell’energia. Alla crisi energetica si aggiunge, inoltre, l’inflazione e la riduzione del potere d’acquisto delle famiglie. Questo è quanto sottolineato dall’Unione Industriale del Biellese e confermato da altre associazioni datoriali come, ad esempio, Confartigianato. Secondo quest’ultimo Ente, i settori più colpiti sono quelli di vetro, ceramica, cemento, carta, metallurgia, chimica, tessile, gomma e plastica, alimentare. Sono ormai numerosi i casi di lockdown energetico tra le aziende e molti imprenditori rischiano la chiusura, con conseguenti licenziamenti. Si tratta di una crisi senza precedenti che potrebbe innescare a sua volta conseguenze senza precedenti nel mercato del lavoro. Sul lato lavoratori e cittadini, il prezzo delle bollette – ormai insostenibile – va nella direzione di aumentare il rischio di povertà energetica tra le famiglie, riducendo la loro possibilità di accedere ad un paniere di beni e servizi energetici sufficiente per fronteggiare l’inverno.

L’invito (e l’auspicio) è quello di avviare una transizione ecologica più rapida, mirata al rinnovamento delle fonti energetiche. In questi ultimi tempi è sempre più in auge il dibattito sulle comunità energetiche. Si tratta di associazioni tra cittadini, attività commerciali, pubbliche amministrazioni locali o piccole e medie imprese che decidono di unire le proprie forze per dotarsi di uno o più impianti condivisi per la produzione e l’autoconsumo di energia da fonti rinnovabili, per coprire il loro fabbisogno energetico simultaneo indipendentemente dalla connessione fisica agli impianti di produzione. Una soluzione che ancora una volta mette al centro l’eco-sistema economico-sociale e il rapporto tra gli attori che lo popolano e guarda a strumenti che favoriscano la condivisione della lettura delle sfide e dei bisogni per arrivare alla co-progettazione degli interventi.

 

Per approfondire

Cibinel E. (2020), Che nesso c’è tra mobilità sostenibile, welfare e parità di genere?, Percorsi di secondo welfare, 16 settembre 2020.

Lindegaard J. (2022), Una lezione dimenticata su come affrontare le ondate di caldo, Internazionale, 20 luglio 2022.

New York Times (2020), The Great Climate Migration, https://www.nytimes.com/interactive/2020/07/23/magazine/climate-migration.html