La sfida della transizione green nel mercato del lavoro, tra livello europeo, nazionale e locale

di Celestina Valeria De Tommaso e Franca Maino

Nel 2015, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite adotta la Risoluzione “Trasformare il nostro mondo: l’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile”, e fissa i cosiddetti Sustainable Development Goals (SDGs), avendo come prospettiva l’idea della sostenibilità intesa come una trasformazione profonda in cui gli aspetti economici, ambientali e sociali sono intimamente connessi. Sempre nel 2015, 190 Paesi hanno sottoscritto l’Accordo di Parigi, impegnandosi a combattere il cambiamento climatico e ad accelerare e intensificare le azioni e gli investimenti necessari per un futuro sostenibile, a basse emissioni di carbonio. Quest’ultimo è un accordo vincolante e universale sui cambiamenti climatici e pone tra gli obiettivi quello di mantenere l’aumento della temperatura globale di questo secolo ben al di sotto di 2 gradi Celsius rispetto a livelli preindustriali e perseguire gli sforzi per limitare ulteriormente l’aumento della temperatura a 1,5 gradi Celsius. Trascorso un terzo dei quindici anni fissati dall’Agenda, la strada da percorrere per raggiungere i 17 Obiettivi di Sviluppo Sostenibile appare ancora lunga.

Ma cosa intendiamo per transizione ecologica? Con questo concetto si fa riferimento al percorso finalizzato ad ottenere un futuro più sostenibile, attraverso un presente in cui individui e istituzioni cooperano per il raggiungimento della neutralità climatica, ovvero il passaggio ad una società e a un’economia a emissioni zero. Si tratta dunque di una sfida urgente dato, ad esempio, il numero crescente di eventi meteorologici estremi, e un’occasione per creare nuovi (o rinnovati) posti di lavoro e opportunità economiche (più eque). Infatti, la concreta attuazione di una società sostenibile richiede, a fianco dell’urgente necessità di ridurre l’impronta ecologica sul pianeta, una forte e indifferibile azione per la riduzione delle diseguaglianze sociali, culturali ed economiche. L’equilibrio tra giustizia sociale ed ecologica è la complessa e difficile sfida con cui devono confrontarsi le trasformazioni richieste per contrastare la crisi climatica e realizzare una società decarbonizzata. Ve ne parliamo in questo articolo.

 

Il Green Deal europeo: rischi ed opportunità della transizione ecologica

Nel 2019 è stato presentato il Piano strategico per il futuro dell’Europa. Le istituzioni europee hanno stanziato un piano di investimenti a sostegno degli Stati Membri, soprattutto quelli più fragili, per consentire il passaggio all’economia verde. Oltre alla legge europea sul clima, che stabilisce l’obiettivo vincolante della neutralità climatica dell’Unione entro il 2050, è stata introdotta una strategia industriale europea per sostenere la trasformazione dell’industria dell’UE in ottica di economia circolare. A questa si aggiunge, inoltre, il Piano “dal produttore al consumatore” che, nel settore alimentare, punta a garantire prodotti più sostenibili e in quantità sufficienti per tutti a prezzi accessibili. Un’importanza centrale è quella attribuita agli ecosistemi: la strategia sulla biodiversità per il 2030 mira a proteggere la natura e a invertire il degrado degli ecosistemi per apportare benefici alle comunità.

Più nello specifico, il pacchetto di azioni che compongono il Green Deal europeo si articola su una strategia ampia e dettagliata che coinvolge settori specifici, declinati per macro-aree, e richiede un approccio intersettoriale in cui tutti gli ambiti lavorano sinergicamente per una transizione verde e inclusiva. Il primo obiettivo è quello stabilito per il 2030: la riduzione delle emissioni di gas serra nell’Unione dovrà essere almeno del 55% rispetto ai livelli registrati nel 1990. Si tratta di un obbligo giuridico per l’intera Unione. Fino al 2050, il ritmo della riduzione delle emissioni sarà sistematico e cadenzato per garantire prevedibilità nel lungo periodo e una transizione efficace ed efficiente, ma soprattutto equa, che indirizzi verso gli obiettivi citati. Per realizzare ciò, la Commissione prevede di investire in tecnologie che rispettano l’ambiente; promuovere l’impiego di energie rinnovabili per decarbonizzare il settore energetico; ripristinare gli ecosistemi degradati e allargare sempre di più le aree terrestri e marine protette; ridurre l’uso dei pesticidi; favorire la sostenibilità della produzione alimentare; sostenere l’industria attraverso l’innovazione affinché sia motore di cambiamento e crescita; realizzare prodotti di uso comune con un minor impatto ambientale; incentivare una costruzione edilizia con prestazione energetica efficiente; introdurre forme di trasporto pulite ed economiche. La Figura 1 riassume le otto aree di iniziativa politica del Green Deal europeo.

Quali sono le implicazioni, a seguito delle decisioni europee, della transizione ecologica? E’ prevedibile che il tema della giustizia e dell’equità sociale accompagni lo scontro politico per tutto il processo della transizione, affiancandosi al successo della “nuova rivoluzione industriale”. Lo spettro della disoccupazione, infatti, non sarà solo una questione localizzata all’Est Europa: il passaggio al digitale, per esempio, richiede manodopera altamente specializzata e rischia di lasciare fuori tanti lavoratori e lavoratrici, se non sarà assistito da  un programma di istruzione, formazione e qualificazione. Nella discussione all’interno delle istituzioni europee, i sindacati europei hanno sottolineato come la decarbonizzazione possa comportare la perdita del posto di lavoro per 11 milioni di persone impiegate nelle industrie ad alto impatto energetico. A rischio i settori dell’acciaio, dei prodotti chimici, del cemento, del tessile e tutto il comparto automobilistico. D’altronde, la strategia verde dell’Europa, immaginando l’impatto sociale della rapida conversione economica, ha previsto al suo interno un Meccanismo per la transizione “giusta”, che attinge a fondi strutturali, cofinanziati dagli Stati, prestiti di favore da parte della Banca Europea d’Investimento e il denaro di investitori privati, questi ultimi raccolti nel Fondo InvestEU. Queste risorse sono proprio finalizzate alle indennità di disoccupazione e ai programmi di riqualificazione dei lavoratori colpiti dalla transizione. E, inoltre, c’è il pericolo che la produzione industriale decarbonizzata produca costi più alti e renda concorrenziali i prezzi dei prodotti provenienti da Paesi extraeuropei. Oltre a strumenti (come la Carbon Tax) che contribuiscono a limitare i danni derivanti dalla concorrenza estera, occorreranno soprattutto accordi commerciali all’altezza degli obiettivi europei.

Questo è il contesto in cui sostenibilità sociale ed ecologica si intersecano in decisioni nazionali e locali. Ripercorriamo dunque i dati della Provincia di Biella, per inquadrare il livello locale anche in relazione alle politiche di livello nazionale, al fine comprendere il margine di manovra dei territori nel favorire la transizione ecologica agevolando l’equità sociale.

 

L’ambiente e il territorio: i dati in Provincia di Biella

All’interno del Rapporto OsservaBiella trovano spazio indicatori relativi al patrimonio naturale della provincia di Biella e alle sue condizioni idro-geologiche. Sono poi affrontati i temi della produzione e del consumo di energia da fonti rinnovabili e del consumo e della dispersione idrici. Infine nel capitolo sono presenti indicatori sulla gestione dei rifiuti e sulle scelte e abitudini di mobilità individuali.

Il consumo di suolo indica il bilancio tra il consumo di suolo e l’aumento di superfici agricole, naturali e seminaturali dovute a interventi di recupero, demolizione, de-impermeabilizzazione, rinaturalizzazione o altro. Il consumo di suolo – in percentuale della superficie territoriale – corrisponde al 7,9% in Provincia di Biella e al 6,7% in Piemonte. Questa percentuale è in lieve decremento rispetto alle due annualità precedenti. Un trend analogo riguarda il consumo di suolo procapite (in km2), pari a 415 in Provincia di Biella e 393 in Piemonte (Figura 2).

Anche in relazione alla superficie boschiva, nel confronto tra 2000 e 2016, la Provincia di Biella ha subito un calo di circa 804 ettari. Al contempo, il valore in Piemonte è aumentato di circa 57.854 ettari (Figura 3).

Sul fronte dell’energia e dei consumi idrici – al centro, peraltro, del dibattito pubblico a seguito dell’ondata di crisi energetica e, perlopiù nel periodo estivo, la lunga siccità che interessa il nostro territorio – la Provincia di Biella dal 2019 al 2020 ha incrementato dell’11,8% il numero di impianti fotovoltaici installati. Altrettanto, la potenza degli impianti fotovoltaici è aumentata del 3,2%. Tali valori sono pari al 15,5% e al 3,8% in Piemonte (Figura 4).

Il consumo di acqua potabile per uso domestico, in litri al giorno per abitante, è pari a 125,8 litri nel Comune di Biella e 158,58 litri in Piemonte. Il valore mostra un decremento rispetto alle due annualità precedenti, 2018 e 2019. Inoltre, la differenza percentuale tra acqua immessa e consumata per usi civili, industriali e agricoli è pari al 25% a Biella (pari al valore del 2019 e in aumento rispetto al 2018) e il 30,7% in Piemonte (Figura 5).

Infine, con riferimento alla qualità dell’aria, il tasso di motorizzazione è stabile tra il 2019 e il 2020 (Figura 6). Aumentano, di tanto in tanto, le auto elettriche, ibrido-gasolio o ibrido-benzina, a discapito di quelle a benzina o gasolio.

In sintesi, i dati sul territorio del Biellese offrono una panoramica esplicativa, seppur limitata, della condizione ambientale del territorio. Nel Rapporto 2023 saranno resi disponibili ulteriori dati utili ad integrare le osservazioni qui riportate e, auspicabilmente, a garantire un’analisi più approfondita delle decisioni da prendere in futuro.

Al contempo, è chiaro come ormai il territorio sia già orientato nella direzione della salvaguardia ambientale ed energetica. Ne è un esempio interessante Smart CER, promosso da Ener.bit, la comunità energetica rinnovabile di area vasta, che mette in rete le risorse del territorio. Il progetto punta a costruire modelli innovativi di sviluppo territoriale basati sull’energia, con l’obiettivo di costruire un modello di business in grado di mantenere la ricchezza generata dall’idroelettrico a livello territoriale. E, in questa direzione, sfruttare al meglio le risorse del PNRR.

 

Quali prospettive future? Inquadrare il ruolo degli enti locali nella cornice degli interventi nazionali

In ottemperanza alle indicazioni europee, il Piano Nazionale di Transizione Ecologica risponde alla sfida di assicurare una crescita che preservi salute, sostenibilità e prosperità del pianeta, attraverso l’implementazione di una serie di misure sociali, ambientali, economiche e politiche, aventi come obiettivi, in linea con la politica comunitaria, la neutralità climatica, l’azzeramento dell’inquinamento, l’adattamento ai cambiamenti climatici, il ripristino della biodiversità e degli ecosistemi, la transizione verso l’economia circolare e la bioeconomia. Nel 2022, l’Italia ha approvato la Relazione sullo stato di attuazione del Piano per la Transizione Ecologica che la Legge del 22 aprile 2021 n. 55 chiede annualmente per dar conto delle azioni, delle misure e delle fonti di finanziamento adottate.

Ci troviamo dunque in un momento storico fondamentale. Questo periodo è centrale per rafforzare le politiche utili al raggiungimento degli obiettivi europei al 2030 (a partire da quelli sulla riduzione delle emissioni di gas climalteranti) e per rispettare gli impegni presi con l’Europa con il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) da concretizzare entro la fine del 2026.  Infatti, la transizione ecologica è uno dei pilastri del progetto Next Generation EU e costituisce una direttrice imprescindibile dello sviluppo futuro. La seconda Missione, denominata Rivoluzione Verde e Transizione Ecologica, si occupa dei grandi temi dell’agricoltura sostenibile, dell’economia circolare, della transizione energetica, della mobilità sostenibile, dell’efficienza energetica degli edifici, delle risorse idriche e dell’inquinamento, al fine di migliorare la sostenibilità del sistema economico e assicura una transizione equa e inclusiva verso una società a impatto ambientale pari a zero. La Missione prevede investimenti e riforme per l’economia circolare e per migliorare la gestione dei rifiuti, rafforzare le infrastrutture per la raccolta differenziata e ammodernare o sviluppare nuovi impianti di trattamento rifiuti, per raggiungere target ambiziosi come il 65% di riciclo dei rifiuti plastici e il 100% di recupero nel settore tessile. Per citare altri obiettivi, sono previsti corposi incentivi fiscali per incrementare l’efficienza energetica degli edifici, con il potenziamento del Superbonus 110% e l’investimento in nuovi programmi di riqualificazione degli edifici pubblici: le misure consentono la ristrutturazione di circa 50.000 edifici l’anno. Per raggiungere la progressiva decarbonizzazione, sono previsti interventi per incrementare significativamente l’utilizzo di fonti di energia rinnovabili, attraverso investimenti diretti e la semplificazione delle procedure di autorizzazione per le rinnovabili, la promozione dell’agri-voltaico e del biometano. Altri obiettivi riguardano la filiera dell’idrogeno, il rinnovo del trasporto pubblico locale, le reti elettriche e le infrastrutture idriche. La Tabella 1 riporta le componenti della Missione e i relativi fondi ad esse destinati.

L’aumento ingente di risorse a disposizione, e di interventi da mettere in atto, richiede uno sforzo senza precedenti agli enti locali. Di rilevante interesse sono, ad esempio, le politiche eco-sociali. Queste definiscono un approccio all’organizzazione della società che cerca di combinare la sostenibilità ambientale con la giustizia sociale. Mentre mirano a rispondere alle sfide ambientali, affrontano le disuguaglianze sociali e promuovono un’economia equa e inclusiva. Le politiche eco-sociali si basano su principi fondamentali come la  responsabilità ambientale, la solidarietà sociale, la partecipazione democratica e l’equità. Cercano di promuovere un uso sostenibile delle risorse naturali, una transizione verso energie pulite e rinnovabili, la protezione dell’ambiente e degli ecosistemi, nonché l’accesso equo e giusto alle risorse e ai servizi. Queste politiche spaziano in vari settori, compresa l’agricoltura sostenibile, l’energia rinnovabile, i trasporti ecologici, la gestione dei rifiuti, la conservazione della natura, la protezione dell’acqua e la promozione di modelli economici alternativi come l’economia circolare. L’obiettivo delle politiche eco-sociali è quello di creare una società in cui sia possibile soddisfare le esigenze delle persone senza compromettere la capacità delle future generazioni di soddisfare le proprie esigenze. Questo approccio integrato tiene conto delle interconnessioni tra ambiente, economia e società, riconoscendo che la prosperità economica e la giustizia sociale dipendono dalla salute e della sostenibilità del nostro pianeta.

In considerazione della tensione tra sostenibilità green e giustizia sociale, gli enti locali dovranno cominciare a lavorare per combinare questi aspetti, in virtù della poliedricità degli attori che li compongono e vi partecipano, per favorire la transizione e ridurre le diseguaglianze. In questo saranno sempre più facilitati tanto più continueranno a raccogliere dati e a condividerne la lettura e l’analisi.

 

Per approfondire

Commissione Europea (2019), Il Green Deal Europeo, https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/HTML/?uri=CELEX:52019DC0640

Greppi, G. (2023),  Transizione ecologica e disuguaglianza sociali, la sfida è totale, Fondazione Lottomatica, https://www.fondazionelottomatica.it/news/transizione-ecologica-e-disuguaglianze-sociali-la-sfida-e-totale/

Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica (2022), Piano per la Transizione Ecologica, https://asvis.it/public/asvis2/files/Eventi_ASviS/PTE_definitivo.pdf